Rimborsi permessi retribuiti per mandato amministrativo: trattamento ai fini IVA

Le somme rimborsate dall’Ente al datore di lavoro, per quanto da quest’ultimo corrisposto a titolo di retribuzioni ed assicurazioni per le ore o giornate di effettiva assenza dal servizio fruite dal lavoratore, non rientrano nel campo di applicazione dell’Iva e non si rilevano le condizioni affinché l’operazione possa essere considerata una prestazione di servizi a titolo oneroso, di cui all’articolo 3 del d.P.R. n. 633 del 1972. Lo chiarisce l’Agenzia delle entrate con Risposta ad interpello del 9 ottobre 2025, n. 261.

Il Comune Istante chiede chiarimenti in merito alla rilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto del rimborso che l’ente pubblico eroga al datore di lavoro per le ore di permesso retribuito concesse al dipendente che svolge mandato elettivo, ai sensi degli artt. 79 e 80 del decreto legislativo 267/2000 ”Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (TUEL).

Ai sensi dell’articolo 79 del TUEL, i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. I lavoratori dipendenti facenti parte delle giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. I componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali hanno diritto di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti.

In particolate, l’Istante chiede se i permessi retribuiti fruiti dai lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici, che svolgono il mandato elettivo di amministratore di ente pubblico, possono/devono essere considerati prestiti e/o distacchi di personale.

L’articolo 80 del TUEL prevede che «le assenze dal servizio di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 79 sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro. Gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell’ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all’articolo 79. L’ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore. […] Le somme rimborsate sono esenti da imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67.».

Ai sensi del richiamato comma 35 dell’articolo 8, della legge 11 marzo 1988, n. 67, abrogato dal decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 2024, n. 166, «Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo».

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 11 marzo 2020, causa C-94/19, ha affermato però l’incompatibilità di questa disposizione con l’articolo 2, punto 1, della direttiva 2006/112/CE, contenente l’elenco delle operazioni soggette a Iva, nella parte in cui dispone l’irrilevanza ai fini Iva dei prestiti o dei distacchi di personale «[…] di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente». Per i giudici unionali tale operazione rileva ai fini Iva quando tra le parti sussiste un nesso diretto in forza del quale «[…] le due prestazioni si condizionano reciprocamente, […] vale a dire che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa […].

Al fine di recepire tale orientamento, l’articolo 16ter del decreto-legge 16 settembre 2024 n. 131 al comma 1 dispone che «Il comma 35 dell’articolo 8 della legge 11 marzo 1988, n. 67, è abrogato» e al comma 2 chiarisce che« Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025; sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente a tale data in conformità alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’11 marzo 2020, nella causa C-94/19, o in conformità all’articolo 8, comma 35, della legge n. 67 del 1988, per i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi.». In particolare, la  circolare n.5/E del 2025 ha chiarito che si ha distacco o prestito di personale quando:

– un datore di lavoro (”distaccante”) mette a disposizione temporaneamente, a favore di un altro soggetto (di seguito anche ”distaccatario”), uno o più lavoratori per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa;

– tale datore di lavoro rimane comunque responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore;

l’operazione è posta in essere dal distaccante con la finalità di soddisfare un proprio interesse; solitamente il soggetto distaccatario appartiene allo stesso gruppo societario oppure alla stessa rete di impresa del distaccante.

Ciò premesso, l’operazione di distacco o prestito di personale in argomento, per effetto della novella normativa, risulta essere rilevante ai fini dell’IVA al ricorrere dei requisiti soggettivi, oggettivi e territoriali normativamente previsti.

A parere della Agenzia delle entrate, ancorché il citato articolo 80 del TUEL rinvii indirettamente ai prestiti e distacchi di personale, la fattispecie sottoposta con istanza di interpello in esame, non appare riconducibile a quelle esaminate dalla circolare n. 5/E del 2025, in assenza degli elementi nella stessa esplicitati.

Le somme rimborsate dall’Ente al datore di lavoro, per quanto da quest’ultimo corrisposto a titolo di retribuzioni ed assicurazioni per le ore o giornate di effettiva assenza dal servizio, di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 79 del TUEL, fruite dal lavoratore, non appaiono riconducibili al rimborso del costo del dipendente distaccato da parte della distaccataria a favore della distaccante, quanto piuttosto tese a consentire al cittadino che ricopre cariche pubbliche di espletare il proprio mandato, potendo fruire dei necessari permessi e, contestualmente, non gravare sul datore di lavoro.

In particolare, si osserva che non rinvenendo «[…] l’esistenza di un nesso di reciprocità fra le prestazioni (in senso lato) dedotta nel rapporto che lega le parti […]», viene a mancare la «funzione sinallagmatica tra gli importi erogati dalla parte», (Ente), «e la prestazione resa dalla controparte», (datore di lavoro) (cfr. Circolare 20/E dell’11 maggio 2015). Pertanto, le somme rimborsate dall’Ente al datore di lavoro, per quanto da quest’ultimo corrisposto a titolo di retribuzioni ed assicurazioni per le ore o giornate di effettiva assenza dal servizio fruite dal lavoratore, non rientrano nel campo di applicazione dell’Iva e non si rilevano le condizioni affinché l’operazione possa essere considerata una prestazione di servizi a titolo oneroso, di cui all’articolo 3 del d.P.R. n. 633 del 1972.

 

Chiarimenti dalle Entrate sulla restituzione dell’IVA non dovuta

Arrivano chiarimenti dall’Agenzia delle entrate italiana riguardo alla restituzione dell’IVA non dovuta, ai sensi dell’articolo 30-ter del Decreto IVA (Agenzia delle entrate, risoluzione 3 ottobre 2025. n. 50).

La risoluzione fornisce chiarimenti richiesti in merito all’applicazione dell’articolo 30-ter, in particolare riguardo al caso di applicazione di un’IVA non dovuta a una cessione di beni o a una prestazione di servizi che sia stata accertata in via definitiva dagli uffici dell’Agenzia delle entrate.

L’articolo 30-ter del decreto IVA, introdotto dall’articolo 8 della Legge n. 167/2017″), definisce l’attuale sistema per il recupero dell’IVA indebitamente versata.
Il comma 1 consente al soggetto passivo di presentare la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni. Tale termine decorre dalla data del versamento dell’imposta o, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Il comma 2 disciplina il caso in cui l’applicazione di un’imposta non dovuta sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria. In questa ipotesi, il cedente o prestatore (il soggetto che ha emesso la fattura) può presentare la domanda di restituzione entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
Tale disciplina del rimborso, in linea con il principio della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta originariamente versata all’erario.

 

La suddetta possibilità è espressamente subordinata a due condizioni:

  • l’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura;
  • il cessionario/committente deve aver precedentemente restituito tale imposta all’erario a seguito di un accertamento definitivo.

Le norme relative al rimborso devono essere lette congiuntamente al comma 3 dell’articolo 30-ter, il quale prevede che la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Così, spiega l’Agenzia, se a seguito dell’attività di controllo da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate il rapporto contrattuale tra le parti venga riqualificato e conseguentemente escluso il diritto alla detrazione dell’IVA collegata alle prestazioni afferenti al contratto asseritamente ritenuto di appalto per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, non potrà darsi luogo ad alcuna restituzione dell’imposta.

Credito d’imposta per corsi di formazione agricola: percentuale di fruizione al 100%

L’Agenzia delle entrate stabilisce la percentuale di credito d’imposta fruibile per le spese sostenute per la partecipazione a corsi di formazione relativi alla gestione dell’azienda agricola (Agenzia delle entrate, provvedimento 3 ottobre 2025, n. 364506 ).

L’articolo 6, comma 1, della Legge 15 marzo 2024, n. 36, ha previsto un contributo sotto forma di credito d’imposta, per la partecipazione a corsi di formazione attinenti alla gestione dell’azienda agricola. Originariamente, tale credito era stabilito in misura pari all’80% delle spese effettivamente sostenute nell’anno 2024, fino a un massimo di 2.500 euro per beneficiario.
L’articolo 4, comma 4, del decreto attuativo del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 1° aprile 2025, ha poi previsto che la percentuale di fruizione fosse pari al 100% nel caso in cui l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti fosse risultata inferiore al limite di spesa.
L’analisi delle richieste ha mostrato che l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta risultanti dalle comunicazioni presentate tra il 25 agosto 2025 e il 24 settembre 2025 è stato pari a 34.643 euro. Poiché tale importo è risultato significativamente inferiore al limite complessivo di spesa di 2 milioni di euro, la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile è stata stabilita al 100% dell’importo richiesto.

 

L’ammontare massimo fruibile da ciascun beneficiario è calcolato moltiplicando il credito risultante dall’ultima comunicazione validamente presentata, secondo le modalità definite con il provvedimento n. 305754/2025, per la suddetta percentuale del 100%, troncando il risultato all’unità di euro.

 

Ciascun beneficiario può visualizzare l’importo del credito d’imposta così determinato tramite il proprio cassetto fiscale, accessibile dall’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

 

Il credito d’imposta deve essere utilizzato dai beneficiari esclusivamente in compensazione.

 

Tale credito è utilizzabile dal terzo giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento, dopo il rilascio di una seconda ricevuta che ne comunica il riconoscimento, ma comunque non prima della data di conclusione del corso di formazione.

Bonus edilizi e successione: le regole per il trasferimento delle rate residue agli eredi

L’Agenzia delle entrate ha pubblicato chiarimenti sul caso di trasferimento mortis causa di un immobile, su cui sono stati effettuati interventi di recupero del patrimonio edilizio, a un erede che ne acquisisce la detenzione materiale e diretta solo in un momento successivo a quello di apertura della successione (Agenzia delle entrate, principio di diritto 2 ottobre 2025, n. 7).

L’articolo 16-bis del TUIR prevede una detrazione IRPEF, attualmente del 36% (elevata al 50% in certi casi), per le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, ripartita in 10 rate annuali di pari importo.
Il comma 8 dello stesso articolo disciplina il trasferimento della detrazione in caso di cambio di titolarità dell’immobile. In particolare, per il caso di decesso, stabilisce che “la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene”.

 

La questione riguarda il momento in cui l’erede deve avere la detenzione materiale e diretta dell’immobile per poter beneficiare delle rate residue della detrazione.
La norma non prescrive che la detenzione debba sussistere necessariamente nell’anno di apertura della successione come presupposto per il trasferimento all’erede del diritto alla detrazione delle rate residue. Anche la circolare n. 17/E/2023, pur richiedendo la detenzione per ogni anno in cui si fruisce della detrazione, non la indica come un presupposto essenziale nell’anno del decesso per il trasferimento stesso.
La condizione essenziale è che la detenzione materiale e diretta dell’immobile sussista per l’intera durata del periodo d’imposta di riferimento. Se l’immobile è locato o concesso in comodato, anche solo per una parte dell’anno, l’erede non può fruire della quota di detrazione di quell’annualità.

 

Se al momento dell’apertura della successione nessun erede detiene l’immobile (ad esempio, perché è locato), la quota di detrazione per l’anno del decesso non può essere utilizzata. Tuttavia, se negli anni successivi un erede acquisisce la detenzione materiale e diretta (ad esempio, alla scadenza del contratto di locazione), potrà beneficiare delle eventuali rate residue di competenza.

 

Per poter usufruire delle rate residue, l’erede deve mantenere la detenzione materiale e diretta dell’immobile ininterrottamente dal 1° gennaio al 31 dicembre del periodo d’imposta. Se la detenzione viene acquisita in corso d’anno, il diritto alla detrazione per le quote residue sorgerà solo per i periodi d’imposta successivi.

Il diritto alla detrazione spetta solo all’erede (o agli eredi) che mantiene la detenzione materiale e diretta del bene per l’intero anno. Se il numero di eredi che soddisfano questa condizione varia da un anno all’altro, il diritto alla detrazione deve essere ripartito di conseguenza tra di loro in ciascun anno.

 

Tali considerazioni trovano applicazione anche con riferimento:
• al Bonus verde per la sistemazione a verde di aree scoperte private;
• all’Ecobonus per interventi di riqualificazione energetica degli edifici, data la presenza di una disposizione analoga a quella del TUIR;
• al Superbonus per interventi di efficienza energetica, antisismici e altri interventi specifici.

Premi, forfetario e IRAP: l’Agenzia delle entrate fa chiarezza per i lavoratori sportivi

Sono pervenuti quesiti all’Agenzia delle entrate sull’applicazione di alcune disposizioni del D.Lgs. n. 36/2021 recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo (Agenzia delle entrate, risposta 30 settembre 2025, n. 14).

In particolare, l’ente pubblico istante ha posto quesiti sui seguenti argomenti:

  • ritenuta sui compensi da lavoro autonomo, chiedendo se, per i compensi corrisposti a un lavoratore sportivo dell’area del dilettantismo con contratto di lavoro autonomo, la ritenuta di cui all’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973 debba essere applicata solo agli importi che eccedono la somma di 15.000 euro;
  • soglia di non imponibilità e regime forfetario, chiedendo come si applica la soglia di non imponibilità di 15.000 euro per i lavoratori sportivi che conseguono redditi di lavoro autonomo abituale e occasionale, e per coloro che accedono al cosiddetto regime forfetario;
  • accesso al regime forfetario per il 2024, chiedendo come debbano essere valutate le cause ostative di accesso al regime forfetario per un lavoratore sportivo autonomo che intende applicare tale regime a partire dal periodo d’imposta 2024;
  • disciplina dei premi, chiedendo chiarimenti su quattro punti specifici:
        ◦ se i “premi di risultato” previsti nei contratti di lavoro sportivo debbano essere assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta;
        ◦ qual è la rilevanza reddituale dei premi corrisposti direttamente alla “società sportiva” di appartenenza del lavoratore;
        ◦ qual è il regime di tassazione dei premi erogati dalle Federazioni sportive ai lavoratori sportivi dell’area del professionismo quando vengono convocati nelle rappresentative nazionali;
        ◦ Se le ritenute operate sui premi debbano essere certificate dall’ente erogatore (con la Certificazione Unica) o se debbano essere esclusivamente riportate nel modello 770;
  • disciplina ai fini IRAP, riguardo alla non rilevanza ai fini IRAP dei singoli compensi per collaboratori coordinati e continuativi nell’area del dilettantismo, se inferiori all’importo annuo di 85.000 euro.

In risposta, l’Agenzia delle entrate fornisce una dettagliata analisi del quadro normativo introdotto dal D.Lgs. n. 36/2021, entrato in vigore il 1° luglio 2023.
Viene stabilita una definizione precisa di lavoratore sportivo, identificandolo come l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico e altre figure tesserate che esercitano un’attività sportiva a fronte di un corrispettivo. La norma sottolinea che questa qualifica si applica indipendentemente dal settore in cui opera, sia esso professionistico o dilettantistico. Vengono però escluse da questa categoria le mansioni di carattere puramente amministrativo-gestionale e le prestazioni fornite da professionisti iscritti ad albi esterni all’ordinamento sportivo, come medici o avvocati.
Una volta definito l’ambito soggettivo, la riforma chiarisce che l’attività di lavoro sportivo può costituire l’oggetto di diverse tipologie di rapporto contrattuale. A seconda dei presupposti, può infatti configurarsi come un rapporto di lavoro subordinato, un rapporto di lavoro autonomo, oppure una collaborazione coordinata e continuativa.
Nei settori professionistici, la legge presume che il lavoro prestato da un atleta come attività principale e continuativa sia oggetto di un contratto di lavoro subordinato. Nell’area del dilettantismo, invece, si presume che il rapporto sia una collaborazione coordinata e continuativa a due condizioni: che la durata delle prestazioni non superi le 24 ore settimanali (escluso il tempo per le manifestazioni) e che le prestazioni siano coordinate tecnicamente secondo i regolamenti delle federazioni o degli enti di promozione sportiva.
Questo nuovo inquadramento contrattuale ha un impatto diretto sulla qualificazione fiscale dei redditi. La modifica più significativa è l’abrogazione della norma che inquadrava i compensi sportivi dilettantistici tra i “redditi diversi”. Di conseguenza, i redditi derivanti dal lavoro sportivo vengono ora tassati secondo la categoria corrispondente al rapporto di lavoro specifico: redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, o redditi di lavoro autonomo.
Inoltre viene chiarito che, anche per il periodo d’imposta 2023, i redditi da lavoro autonomo sportivo sono da considerarsi a tutti gli effetti redditi professionali, il cui imponibile va determinato secondo le regole ordinarie previste dall’articolo 54 del TUIR.

 

Risposte ai singoli quesiti
Risposta al quesito 1: la ritenuta d’acconto del 20% (art. 25, D.P.R. n. 600/1973) si applica solo sulla parte dei compensi che eccede la soglia di 15.000 euro annui. Per beneficiare di questa esenzione, il lavoratore sportivo deve rilasciare al committente, all’atto di ogni pagamento, un’autocertificazione che attesti l’ammontare totale dei compensi percepiti nell’anno solare per prestazioni sportive dilettantistiche. Il sostituto d’imposta (es. l’ASD) applicherà la ritenuta solo se, sulla base dell’autocertificazione, il nuovo compenso comporta il superamento della soglia complessiva di 15.000 euro.
Risposta a quesito 2: per i lavoratori sportivi autonomi nell’area del dilettantismo, la base imponibile è costituita solo dai compensi che eccedono i 15.000 euro. Per coloro che applicano il regime forfetario il coefficiente di redditività si applica solo sull’importo dei compensi che eccede i 15.000 euro. Tuttavia, ai fini della verifica del limite massimo di ricavi/compensi per l’accesso e la permanenza nel regime (attualmente 85.000 euro), si deve considerare l’intero ammontare dei compensi percepiti, inclusa la quota esente di 15.000 euro.
Risposta a quesito 3: ai fini della verifica delle cause ostative per l’accesso al regime forfetario nel 2024, rilevano unicamente i rapporti di lavoro sportivo, come definiti dal d.lgs. n. 36/2021, attivati nel 2023. Non sono rilevanti, invece, i compensi percepiti prima del 1° luglio 2023, che erano qualificati come “redditi diversi”, anche se erogati dallo stesso soggetto con cui si instaura un nuovo rapporto nel 2024.
Risposta a quesito 4: le somme qualificate come “premi di risultato” nei contratti di lavoro sportivo non rientrano nella disciplina dell’art. 36, comma 6-quater. Essi costituiscono una parte variabile della retribuzione e sono tassati secondo le regole ordinarie della categoria reddituale di appartenenza (lavoro dipendente o autonomo).
I premi corrisposti direttamente all’ente sportivo di appartenenza, e non al singolo atleta o tecnico, sono esclusi dall’ambito di applicazione della norma.
La disciplina dei premi con ritenuta a titolo d’imposta del 20% si applica anche alle somme corrisposte dalle Federazioni ad atleti e tecnici che operano nel professionismo quando vengono convocati per le squadre nazionali. Questo perché l’attività svolta in tale contesto è considerata rientrante nell’area del dilettantismo.
Le somme soggette a ritenuta a titolo d’imposta non sono soggette all’obbligo di Certificazione Unica (CU). Devono però essere indicate nel modello dichiarativo 770 del sostituto d’imposta.
Risposta a quesito 5: l’articolo 36, comma 6, del D.Lgs. n. 36/2021 prevede che i singoli compensi per co.co.co. nell’area del dilettantismo inferiori all’importo annuo di 85.000 euro non concorrono alla base imponibile IRAP. Non si tratta di una franchigia, pertanto: se un singolo compenso è inferiore a 85.000 euro, è totalmente escluso dalla base imponibile IRAP dell’ente erogante; se un singolo compenso è pari o superiore a 85.000 euro, esso concorre per intero alla determinazione della base imponibile IRAP.

Crediti d’imposta da DTA: chiarimenti su cessione e compensazione

L’Agenzia delle entrate risponde ad alcuni dubbi avanzati da una società circa la possibilità di assolvere le proprie obbligazioni di versamento mediante compensazione con crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle cosiddette “DTA” (Deferred Tax Assets), ai sensi dell’articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019 (Agenzia delle entrate, risposta 26 settembre 2025, n. 253).

In particolare, l’Istante pone diversi quesiti:
– se i crediti possano essere acquistati dalla Società, anche se non riveste la natura di intermediario finanziario;
– se siano acquistabili e cedibili anche in modo frazionato;
– se possano essere ceduti più volte;
– se siano compensabili nel Modello F24;
– se esistano tempistiche per la compensazione e se questa sia soggetta ai limiti dell’articolo 34 della Legge n. 388/2000;

– se le compensazioni siano soggette all’apposizione del visto di conformità;
– se eventuali eccedenze di credito dopo la compensazione siano a loro volta cedibili.

L’Agenzia delle entrate ricorda che l’articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019 disciplina la trasformazione in crediti d’imposta delle “attività per imposte anticipate” (DTA) relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE, a seguito della cessione di crediti pecuniari verso debitori inadempienti (con mancato pagamento protratto per oltre novanta giorni).

La trasformazione avviene alla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti.

 

Il comma 2 dello stesso articolo 44-bis prevede che i crediti d’imposta così generati possano essere utilizzati secondo tre modalità:

  • in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997;
  • mediante cessione, ai sensi dell’articolo 43-bis o 43-ter del D.P.R. n. 602/1973,
  • mediante richiesta di rimborso.

L’Agenzia si concentra sulla possibilità per l’Istante di acquistare crediti da soggetti terzi. L’articolo 44-bis contempla due ipotesi di cessione: quella infragruppo (art. 43-ter) e quella verso terzi (art. 43-bis).

 

La norma dell’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973 disciplina espressamente le cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi. Questa stessa norma prevede un “espresso divieto di ulteriore cessione“, stabilendo che “Il cessionario non può cedere il credito oggetto della cessione”. Di conseguenza, chi acquista un credito secondo questa modalità (il “cessionario”) potrà solo monetizzarlo tramite l’incasso delle somme oggetto di rimborso, senza avere la possibilità di utilizzarlo in compensazione né di cederlo ulteriormente.

 

Sulla base di queste premesse, riguardo al caso di specie, l’Agenzia delle entrate concorda con l’Istante sull’assenza nella norma di qualsiasi limitazione soggettiva alla possibilità di cessione a soggetti terzi. Inoltre, tutti gli altri quesiti posti dall’Istante si ritengono “assorbiti” in quanto l’acquisto di un credito chiesto a rimborso esclude non solo la possibilità di ulteriore cessione ma anche quella di utilizzo in compensazione dello stesso.

Modifiche al provvedimento dell’Agenzia delle entrate sulla vendita di titoli di accesso

Il provvedimento n. 356768/2025 dell’Agenzia delle entrate introduce modifiche al precedente provvedimento n. 223774/2019 recante misure attuative in materia di vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso, nonché modifiche alla disciplina relativa ai sistemi di biglietterie automatizzate.

Il provvedimento n. 223774/2019 ha dettato le misure attuative in materia di vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso, ai sensi dell’articolo 1, commi 545-bis e seguenti, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232, come introdotti dall’articolo 1, comma 1100, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145, e del Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro della cultura, del 12 marzo 2018. Il medesimo provvedimento, inoltre, contiene, al Capo IV, alcune modifiche ai provvedimenti già emanati in materia di biglietterie automatizzate, al fine di rendere coerenti tali provvedimenti alle disposizioni introdotte dalla Legge n. 232/2016 e dalla Legge n. 145/2018.

 

Avendo le associazioni di categoria degli operatori di settore rappresentato alcune problematiche tecniche emerse in fase di applicazione della normativa, con specifico riferimento alla vendita dei titoli di accesso effettuata da alcuni paesi al di fuori della Unione Europea, l’Agenzia delle entrate ha disposto alcune modifiche al Capo II e al Capo VI.

In particolare, il provvedimento interviene sulle modalità di identificazione, in fase di registrazione, dell’utente che vuole acquistare titoli di accesso attraverso reti di comunicazione elettronica, consentendo, altresì, per un periodo limitato, di dichiarare che un sistema, che già sia stato riconosciuto idoneo dall’Agenzia delle entrate, è idoneo anche rispetto alle modifiche apportate dal provvedimento.

 

Nel dettaglio, dunque, il documento apporta modifiche a specifiche sezioni del provvedimento del 2019. Le principali novità sono:

 

– Sostituzione del punto 4.3 – Identificazione dell’utente acquirente: Viene aggiornata la procedura di registrazione per l’utente che acquista online (“utente acquirente”). La nuova procedura prevede:

  • acquisizione dei dati: oltre a nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo email e numero di cellulare, il sistema deve acquisire anche il “mezzo di comunicazione” scelto dall’utente per ricevere le informazioni di riscontro;
  • conferma della registrazione: la fase di conferma (“riscontro”) avviene utilizzando come strumenti sia il numero di telefono cellulare sia il “mezzo di comunicazione prescelto”. Tale modifica consente all’utente di ricevere una One Time Password (OTP) non solo tramite SMS, ma anche attraverso una chiamata vocale analogica al numero di cellulare dichiarato;
  • verifica e assegnazione: il sistema deve verificare che il numero di cellulare sia associato a un unico utente e assegnare “univoche credenziali di accesso”.

– Sostituzione del punto 12.4 – Procedura di idoneità semplificata e temporanea: per i sistemi di biglietteria già riconosciuti idonei dall’Agenzia secondo provvedimenti precedenti (del 2001, 2002 e 2008), viene introdotta una procedura semplificata per dichiarare la conformità alle nuove regole.
Questa procedura è valida per un periodo massimo di 120 giorni dalla pubblicazione del provvedimento.

Il titolare del sistema deve presentare un’unica comunicazione all’Agenzia delle entrate contenente:

– gli estremi del provvedimento di idoneità già ottenuto;

– una dichiarazione, resa ai sensi del DPR n. 445/2000, che il sistema è conforme alle nuove prescrizioni del punto 4.3;

– una seconda dichiarazione che le modifiche apportate per la conformità “non ne inficiano il livello di garanzia fiscale”.

 

Questa semplificazione è stata introdotta per “consentire agli operatori l’adeguamento dei sistemi già approvati alle novità introdotte unitamente ad un congruo periodo utile al perfezionamento del processo amministrativo”.

 

– Sostituzione del punto 12.5 – Modalità di comunicazione: la comunicazione per la procedura semplificata deve essere firmata digitalmente e trasmessa tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) in una data che sia “antecedente a quella di inizio dell’utilizzo del sistema modificato”.

 

– Sostituzione dell’Allegato A: Viene aggiornata e sostituita la versione delle “Specifiche tecniche per la realizzazione dei sistemi di biglietterie automatizzate”.

Scadenza imminente per il 730 precompilato: ultimi giorni per l’invio

C’è tempo fino al 30 settembre per presentare il 730 precompilato. Un mese in più per il modello Redditi, che va inviato entro il 31 ottobre 2025 (Agenzia delle entrate, comunicato 25 settembre 2025).

L’Agenzia delle entrate ricorda la scadenza per la presentazione del modello 730 precompilato, fissata per il 30 settembre 2025.

 

Dai primi dati, tra i cittadini che hanno già inviato la dichiarazione in autonomia circa 6 su 10 hanno scelto la “modalità semplificata”, che offre un percorso guidato senza campi né codici e un’interfaccia intuitiva. Da un primo bilancio sui 730 già trasmessi in autonomia dai cittadini, circa 6 modelli su 10 sono stati inviati in modalità semplificata: lo scorso anno, a una settimana dal termine, erano il 52%. Inoltre, sempre considerando i 730 semplificati, il 41% è stato accettato così come predisposto dal Fisco

 

L’Agenzia delle entrate ha attivato misure di comunicazione, come l’invio di promemoria tramite l’app “IO”, per sollecitare i contribuenti che non hanno ancora completato l’invio della loro dichiarazione. Nella modalità semplificata, non è necessario conoscere i campi della dichiarazione né i codici da indicare: è infatti il sistema a inserire automaticamente i dati all’interno del modello, come validati o integrati/modificati dal contribuente.

 

Per quanto riguarda le modalità di consultazione e invio, i contribuenti possono accedere nell’applicativo, disponibile sul sito dell’Agenzia, tramite Spid, Carta d’identità elettronica (Cie) o Carta nazionale dei servizi (Cns). È prevista anche la possibilità di delegare un familiare o una persona fidata per gestire l’invio online. In alternativa. In alternativa, si può inviare una PEC o presentare la richiesta a un qualunque ufficio dell’Agenzia. Un mese in più per il modello Redditi, che va inviato entro il 31 ottobre 2025.

 

In aggiunta, l’Agenzia offre diverse risorse informative, tra cui guide dettagliate e video tutorial disponibili sui canali social e sul sito ufficiale, per supportare i cittadini nel processo di invio della dichiarazione.

Semilavorati auriferi ai fini dell’applicazione del reverse charge

Un’associazione ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle entrate sulla definizione di semilavorati auriferi e sull’applicabilità del regime di reverse charge (Agenzia delle entrate, risposta 22 settembre 2025, n. 13).

Nel caso di specie, l’Associazione istante chiede se il regime del reverse charge possa essere applicato a componenti auriferi finiti come chiusure e castoni, considerandoli “semilavorati”.

 

Nella risposta, l’Agenzia premette che l’articolo 17, quinto comma, del Decreto IVA prevede che “per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati, come definiti nell’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 150, di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato”.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3, del D.P.R. n. 150/2002, sono da intendersi semilavorati “i prodotti di processi tecnologici di qualsiasi natura meccanici e non, che pur presentando una struttura finita o semifinita non risultano diretti ad uno specifico uso o funzione, ma sono destinati ad essere intimamente inseriti in oggetti compositi, garantiti nel loro complesso dal produttore che opera il montaggio”.

 

Riguardo all’ambito oggettivo di applicazione del citato articolo 17, quinto comma, la risposta alla consulenza giuridica n. 13/2020 ha già avuto modo di chiarire che con l’espressione ”materiale d’oro” e ”prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi” il legislatore abbia inteso fare riferimento all’oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, distinta, quindi, dall’oro da investimento di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), della Legge n. 7/2000.

 

In particolare, secondo l’U.I.C., nella nozione di ”materiale d’oro” rientrano tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione e la caratteristica di ”semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di uno specifico uso e funzione, vale a dire dall’impossibilità di utilizzare il materiale essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l’utilizzo da parte del consumatore finale”.

 

Secondo quanto chiarito dalla risoluzione n. 161/E/2005, non rientrano nell’ambito dei semilavorati le montature di anelli o le chiusure per collane e bracciali in quanto trattasi di beni che, avendo completato il loro specifico processo produttivo, sono da considerare prodotti finiti e non materia prima destinata alla lavorazione.

 

La fattispecie presentata dall’Associazione non è dissimile da quella analizzata nella risoluzione del 2005. I beni elencati (mollette, moschettoni, chiusure, ecc.) non presentano differenze apprezzabili rispetto a montature e chiusure. Per le loro caratteristiche intrinseche, questi manufatti non sono destinati alla lavorazione o trasformazione, bensì all’assemblaggio/montatura, e vi concorrono in qualità di prodotti finiti.
Pertanto, in conformità con i chiarimenti già forniti, l’Agenzia ritiene che per l’acquisto e le importazioni di tali manufatti non possa trovare applicazione il meccanismo del reverse charge di cui all’articolo 17, comma 5, del Decreto IVA. L’imposta deve, quindi, essere assolta nei modi ordinari.

Detrazione IVA durante la liquidazione: il parere dell’Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle entrate ha chiarito che una società in liquidazione volontaria può detrarre l’IVA su spese professionali legate alla gestione di contenziosi e al recupero crediti (Agenzia delle entrate, risposta 22 settembre 2025, n. 251).

L’Istante è una S.R.L. posta in liquidazione volontaria per conseguimento dell’oggetto sociale, dichiara che, fino alla messa in liquidazione, ha esercitato una delle attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 10 del Decreto IVA e non ha detratto in toto l’IVA sulle fatture ricevute in relazione all’attività esercitata ai sensi dell’articolo 19 del citato Decreto. La procedura di liquidazione è ancora in corso a causa di contenziosi tributari pendenti e di un procedimento non concluso di recupero crediti insoluti. Successivamente all’inizio della liquidazione, l’Istante ha ricevuto fatture passive di importo considerevole da professionisti che hanno gestito il contenzioso tributario e l’attività legale di recupero crediti. Pertanto la domanda posta è se la società possa detrarre l’IVA addebitata in tali fatture.

 

L’Agenzia delle entrate premette che i principi che regolano il diritto alla detrazione sono rinvenibili negli articoli 19 e seguenti del Decreto IVA, che a loro volta recepiscono gli articoli167 e seguenti, e 178 e seguenti della direttiva 2006/112/CE (c.d. Direttiva IVA). Tra questi principi, vi è quello della “inerenza (rectius, afferenza)” dell’acquisto rispetto alle operazioni imponibili effettuate dal soggetto passivo.

L’Agenzia ricorda altresì che l’esercizio del diritto alla detrazione non è in linea di principio precluso durante la fase di liquidazione.

La messa in liquidazione non comporta un’automatica cessazione dell’attività; essa rappresenta l’ultima fase della vita di una società, ma resta pur sempre parte dell’attività d’impresa.

Tale concetto è supportato anche da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui la finalità di liquidazione non incide sulla natura economica delle operazioni.

 

Di conseguenza, in ossequio al principio di neutralità dell’IVA, deve riconoscersi in linea di principio il diritto alla detrazione per acquisti effettuati nello svolgimento dell’attività liquidatoria, una volta accertato il nesso di diretta strumentalità tra i beni/servizi acquistati e l’attività stessa.

Anche la Corte di Cassazione conferma che con la liquidazione cessa l’attività esente e torna applicabile l’ordinario regime impositivo che consente la detraibilità dell’IVA.

 

Di conseguenza, nel caso di specie, le fatture per la gestione del contenzioso tributario sono connesse alla definizione agevolata delle controversie, un’attività propedeutica e strumentale alle finalità liquidatorie. Anche l’attività di recupero crediti può essere considerata connessa alla liquidazione, poiché i crediti non hanno natura commerciale.
Per questi motivi, l’Agenzia ritiene che la società possa detrarre l’IVA addebitata nelle fatture ricevute durante la fase di liquidazione.
Infine, per quanto riguarda la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa, l’Agenzia fa riferimento all’articolo 8, comma 6-bis, del D.P.R. n. 322/1998, che consente di correggere errori od omissioni. L’Istante, dunque, potrà presentare la dichiarazione integrativa al ricorrere dei presupposti di legge, come chiariti dalla circolare n. 1/E/2018 e nei documenti di prassi pubblicati.